Dalla Storia al Teatro: Socialismo a passo di valzer a Torino

14 aprile 2011

http://www.teatrostabiletorino.it/?action=view&table=catalog&ID=103

Per chi ha la fortuna e la possibilità di essere a Torino il 27 e il 28 maggio prossimi, potrà andare a vedere una interessante produzione toscana a partire dal mio libro omonimo, uscito nel 2006 per Libreria Musicale Italiana.

Ovviamente farò di tutto per esserci anch’io e chissà, forse ci incontriamo per scambiarci qualche idea.

Cavallerizza Reale

dal 27/05/2011 al 28/05/2011

a partire dal libro Socialismo a passo di Valzer – Storia dei violinisti
braccianti di Santa Vittoria di Carmelo Mario Lanzafame
drammaturgia Giuseppe Di Leva
con Silvio Castiglioni, Sara Donzelli
coro e musicisti da definire
regia Giorgio Zorcù
luci Marcello d’Agostino
Accademia Amiata Mutamenti
con il sostegno della Corte ospitale di Rubiera
e il contributo della Regione Toscana

Cosa hanno a che fare il Risorgimento e il Liscio? La Bassa Reggiana, prima di tutto, una terra sanguigna e vitale, dove a Santa Vittoria, tra la fine della dominazione austriaca e l’unificazione dell’Italia, nascono il ballo liscio, da gruppi di violinisti braccianti, e le prime forme di cooperativa, avvisaglia del futuro movimento socialista. Quasi un blues del Nord, il Liscio nasce dalla musica dei violini, e diventa presto la colonna sonora del socialismo, che si diffonde nelle campagne insieme alla musica del proletariato. I balli tradizionali in Romagna erano di antica origine popolare e non prevedevano il contatto tra ballerini. Il Valzer, ma anche Mazurca e Polca, esattamente come il Liscio, sono autentiche rivoluzioni del costume, che la Chiesa bolla come “insano vizio” che induce i ballerini al peccato. Luogo deputato per il Liscio è il Festivàl, una struttura di legno e tela juta con cui si allargavano le osterie verso l’esterno, dove si proponevano drammi musicali e varietà con trasformisti, ipnotizzatori e cantanti. Sono queste le serate delle nascenti cooperative, delle prime riunioni ed assemblee politiche. Socialismo a passo di Valzer dipinge l’affresco di un popolo che lavora, lotta, si diverte, per il quale la nuova musica e i nuovi balli di coppia diventano l’espressione della voglia collettiva di avere un corpo civile e politico nella società.

ore 20.45


“BATTAGLIERI! storie di liscio emiliano”, è finalmente uscito

9 aprile 2011

Ecco finalmente Battaglieri!, storie di liscio emiliano, editato da Clueb.

Potete ordinarlo presso il negozio online della casa editrice oppure nella vostra libreria di fiducia.

Qui il link del negozio virtuale di Cleub

http://www.clueb.com/servlet/ParseHtml/html/index.html?url=/html/varie/novita.jsp

Buona lettura!

ps: ovviamente attendo commenti, critiche, suggerimenti.


Lo spartito di Battagliero!

3 gennaio 2011


Bibliografia in progress…

18 novembre 2010

Marino Anesa, Dizionario della musica italiana per banda, Bergomum, 1993

Antonio Carlini, Le bande musicali nell’ Italia dell Ottocento, Il modello militare, i rapporti con il teatro e la cultura dell’orchestra negli organici strumentali. Sta in Rivista italiana di musicologia, XXX, 1995, n.1.

Antonio Carlini, Le scuole musicali delle filarmoniche. Sta in AAVV, Accademie e società filarmoniche, Organizzazione, cultura e attività dei filarmonici nell’ Italia dell’ Ottocento, a cura di Antonio Carlini, Quaderni dell’Archivio delle società filarmoniche italiane/1, Atti del convegno di studi nel bicentenario di fondazione della società filarmonica di trento, 1998.

Marino Anesa, L’istituto filarmonico di Gandino, luoghi e protagonisti della musica in un paese bergamasco. Sta in Quaderni dell’archivio delle Società0 filarmoniche italiane, vol 3, Accademie e società filarmoniche in Italia, studi e ricerche, a cura di Antonio Carlini, Società filarmonica di trento, 2001.

Antonio Carlini, Le bande musicali nell’ Italia dell’ Ottocento, Il modello militare, i rapporti con il teatro e la cultura dell’orchestra negli organici strumentali. Sta in Rivista italiana di musicologia, XXX, 1995, n.1.

Antonio Carlini, Le scuole musicali delle filarmoniche. Sta in AAVV, Accademie e società filarmoniche, Organizzazione, cultura e attività dei filarmonici nell’ Italia dell’ Ottocento, a cura di Antonio Carlini, Quaderni dell’Archivio delle società filarmoniche italiane/1, Atti del convegno di studi nel bicentenario di fondazione della società filarmonica di trento, 1998.

Anna Valentini, L’orchestra a San Giovanni in Persiceto e le istituzioni musicali dell’ 800. Sta in AAVV, Accademie e società filarmoniche, Organizzazione, cultura e attvitià dei filarmonici nell’ Italia dell’ Ottocento, a cura di Antonio Carlini, Quaderni dell’Archivio delle società filarmoniche italiane, Vol 2.

Antonio Lovato, I filarmonici e la musica sacra. Sta in AAVV, Accademie e società filarmoniche, Organizzazione, cultura e attività dei filarmonici nell’ Italia dell’ Ottocento, a cura di Antonio Carlini, Quaderni dell’Archivio delle società filarmoniche italiane/1, Atti del convegno di studi nel bicentenario di fondazione della società filarmonica di trento, 1998.

Dante Rabitti, Orchestre e istituzioni musicali piacentine, in Orchestre in Emilia Romagna, a cura di Marcello Conati e Marcello pavarani, Parma, Orchestra sinfonica dell’ Emilia romagna Arturo toscanini, 1982.

Joris Grossi, Sulla filarmonica guastallese,Orchestre in Emilia romagna nell’ Ottocento e Novecento, a cura di Marcello Conati e Marcello pavarani, Parma, Orchestra sinfonica dell’ Emilia romagna Arturo toscanini, 1982.

Marta Lucchi, Musiche, strumenti e organici delle bande musicali estensi, Mantova Musica, VII, 1993, 23, maggio-agosto. Giovanni Manzoni, Spettacoli teatrali e altre manifestazioni culturali e folkloristiche in Lugo di Romagna dal 1771 al 1920, Laberti edizioni, 1984

L’aquila su san Petronio, catalogo della mostra Esercito austriaco e società bolognese, 18141859, a cura di M. Garavelli e O. Sangiorgi, Museo civico del risorgimento, 1995, p.55.

Terra di Cento, a cura di T. Contri e L. Lorenzini, 2001, Gherli editore.

Marco Capra, Per una geografia di bande musicali e società filarmoniche nell’area medio-padana del XIX secolo, sta in Bollettino del Museo del Risorgimento, XXXII-XXXIII, 1987-1988.

Giorgio Sanguinetti, La formazione dei musicisti italiani (1900-1950), sta in AA.VV., La cultura dei musicisti italiani nel Novecento, a cura di Guido Solvetti e Maria Grazia Sità, Guerini, 2003.

A. Lovatto, E. Strobino, Il ballo tra banda e dintorni, Primi appunti su fanfare, brüsche, squadre e orchestre in Valsesia e Valsessera, L’impegno, a. III, n. 4, dicembre 1983, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.

C. Sorba, Teatri: l’Italia del Melodramma nell’età del Risorgimento, Il Mulino, 2002.

Carlo Melloni, Panegirico e Prefiche della musica militare italiana, dedicato al Corpo bandistico degli Artigianelli. Sta in Strenna Artigianelli, 1926.

Marco Fincardi, Guastalla. Feste di Mezza Quaresima, Un carnevale tra Risorgimento e Belle-epoque, sta in Quaderni di teatro, anno VIII, n.2, maggio 1986.


Prima bozza finita

10 Maggio 2010

Finalmente dopo mesi di lavoro ho completato la scrittura della prima bozza (circa 240 pagine in formato elettronico). Adesso la stanno leggendo dei “lettori professionali”.

Sono soddisfatto perché penso di avere colpito alcuni obbiettivi: la ricostruzione di un  paesaggio sonoro costituito prima di violini e “violoni”, poi di complessi a fiato e, più tardi, di fisarmoniche e “jasband”; la progressiva emersione della figura del musicista e suonatore moderno; la strutturazione di uno specifico settore di intrattenimento danzante, con i suoi diversi attori; i contributi dei singoli personaggi che entrano in scena in diversi momenti…

In più vi sarà una parte costituita di tabelle che cercano di sistematizzare la diffusione e il radicamento di organismi musicali, bande, scuole, complessi, orchestrine in zona.

Al momento l’indice provvisorio è il seguente:


Cap1. I suonatori tradizionali

Cap2. Battaglieri

Cap.3 Intermezzo urbano

Cap. 4 Fanfare e fiati tra formaggio e ferrovie

Cap.5 Un nuovo secolo

Cap.6 Dentro la modernità

Cap.7 Le memorie del liscio: pout pourri polifonico

Spero nelle prossime settimane di dedicarmi un po’ di più a questo blog.

A presto


mentre avanza la scrittura….

26 febbraio 2010

mentre sto completando questa faticosa e spero importante ricostruzione del paesaggio sonoro nel quale si è sviluppata la tradizione del liscio emiliano, mi sono imbattuto in questo intrigante forum che riporta parecchie informazioni sul mondo e la memoria dei fisarmonicisti.

http://www.michelangelotopo.eu/forum/

fateci un salto


Vita di una banda musicale: Romagnano Sesia*

19 novembre 2009

* Tratto da http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/strobino183.html

“l’impegno”, a. III, n. 1, marzo 1983
© Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.

Enrico Strobino

Premessa

“Vorrei sapere quali erano le fiere di un paese prima della guerra, e se questa le ha aumentate o diminuite” (Voltaire).
In tutte le feste la musica è elemento fondamentale, quindi anche tra le “fiere” di Voltaire non può mancare una banda musicale. L’illustre affermazione scaccia, mi sembra, l’impressione di troppa “specificità” – rispetto al contesto in cui appare – di un argomento “di frontiera” come la vita di una banda: di frontiera rispetto agli idoli tradizionali dello storico, rispetto al centralismo politico, o militare o economico. Ma se la storia vuol conquistare nuovi campi documentari, se vuol essere “storia profonda”, “totale”, “sinfonica”, ecco allora giustificata l’attenzione per l’argomento in questione. Esso, d’altra parte, invita a superare l’approccio specificamente musicologico a vantaggio di uno più complessivamente storico: la vita di una banda musicale può facilmente essere assunta come spia di più vasti meccanismi di comunicazione culturale, come osservatorio di vari aspetti della realtà sociale di un paese e dei rapporti al suo interno e anche come fonte di una precisa periodizzazione della vita e della cultura locale.
Un secondo oggetto d’interesse può essere rappresentato dai mezzi della ricerca: basata quasi esclusivamente su testimonianze orali, ne porrà certamente in risalto limiti e pregi; ciò che conta tuttavia è la proposta di un modo di lettura di tali fonti, un metodo di analisi e interpretazione che in nessun modo insegue la chimera di una storia “completa” o “oggettiva” ma che si ripropone comunque di contribuire a una più vasta conoscenza.

Le origini

La banda di Romagnano Sesia risulta fondata nel 1836, con la denominazione “Società Filarmonica”: tale dato è confermato sia dall’atto di nascita, conservato presso l’archivio comunale, che dallo storico Carlo Dionisotti nel volume riguardante il comune di Romagnano Sesia1.
Il periodo che va dalla data di fondazione alla fine del secolo è naturalmente pochissimo documentato ed estremamente labili sono le tracce dell’evoluzione del complesso: gli unici riferimenti sono costituiti da pochi accenni contenuti in testi di storia locale, riguardanti la partecipazione della banda ad alcune cerimonie religiose, accenni che per altro ne certificano la presenza.
Di “banda musicale” si parla addirittura riferendosi ad un periodo precedente la data di fondazione sopra ricordata; infatti, già nel 1819, in una relazione inviata dal prevosto Tonna al vescovo cardinal Morozzo, recante una descrizione della processione-rappresentazione del Venerdì Santo, fra gli altri elementi elencati come caratterizzanti la “funebre funzione” si trova che “una banda musicale di marce lugubri ne accompagna pur il canto del più tenero salmo Miserere”2.
D’altra parte la nascita della banda all’interno di una comunità non rappresenta il passaggio o la netta linea di confine tra una situazione “senza musica” e una “con la musica”: certamente la presenza di suonatori all’interno dei vari contesti festivi e cerimoniali costituisce una circostanza abituale anche prima. La banda quindi viene a formarsi solitamente sulla base di una tradizione musicale preesistente, anche se la sua formazione rappresenta un momento di novità, distinto e specifico, di rottura nella continuità col passato: nasce all’interno del paese un’istituzione musicale stabile e ufficiale, di conseguenza muta il ruolo e la funzione di un gruppo di suonatori all’interno della comunità; inoltre si amplia il repertorio e vengono introdotti nuovi strumenti.
L’atto di nascita del 1836 fornisce un organico preciso: 5 clarinetti, cassiere, 2 flauti, 1 ottavino, 2 trombe a chiave, 1 trombola, 1 tromba a squillo, 1 corno da caccia, 1 corno e 1 contrabbasso. In tale organico si notano, accanto ai limitati corno da caccia e tromba a squilla, alcuni strumenti di più recente introduzione nelle bande, come la tromba a chiavi e l’ottavino.
Del “Patetico suono delle bande” che accompagnano il canto del Miserere si trova traccia anche in un’altra descrizione della rappresentazione popolare romagnanese, datata 1861 e redatta dal sacerdote locale don Giovanni Rossi.
Del 1871 è il commento dello stesso Carlo Dionisotti, in cui si legge: “…dignitosa e commovente è la processione della sera ma durante la giornata tanto è il chiasso che si fa colle musiche e coi tamburi che precedono le diverse corti dei giudei stranamente vestiti che prendono parte alla serale funzione e girano per il paese, bevendo ad ogni casa, che, piuttosto che ricordare i patimenti sofferti dal Nostro Signore, richiama alla memoria i baccanali di Carnevale”3.
In questa occasione il lamento dello storico rende evidente la polivalenza della banda musicale, la molteplicità di funzioni che essa assolve: accanto al momento ufficiale, solenne, in cui serve a sostenere la pompa e il decoro delle autorità, è sempre presente il momento del divertimento, della festa e della baldoria. Anche in occasione delle cerimonie religiose dunque la banda se da un lato si caratterizza come strumento del potere (religioso in questo caso) dall’altro si configura come strumento della comunità e dei suoi bisogni.
Con la nascita della banda come istituzione stabile nasce anche un tipo di presenza “civile” della musica all’interno della comunità, insieme ad una nuova utenza, che comprende anche e soprattutto le classi popolari, e ad un nuovo gusto musicale, derivante dal fatto che la banda segna l’entrata all’interno della cultura locale della cultura nazionale, almeno dal punto di vista musicale.
Sul periodo che va dalla nascita ufficiale della banda di Romagnano alla fine del secolo neppure le fonti orali possono ovviamente fornire aiuti allo scopo di ricostruirne un’evoluzione precisa e dettagliata. Si può tuttavia supporre che l’analisi della situazione di inizio secolo, analisi che si fonda sull’uso delle testimonianze dirette, possa essere riferita in buona parte anche al periodo precedente, almeno per quel che riguarda il tipo di funzione e di ruolo che la banda ricopre nel contesto della comunità paesana.

La banda Verdi

Nei primi anni del Novecento a Romagnano Sesia esistono, nella memoria dei più anziani musicanti, due bande: la banda “Verdi” e la banda “Vonwiller”.
Il periodo di convivenza non fu molto lungo poiché proprio in quegli anni avvenne l’assorbimento della prima da parte della seconda; anzi, si vedrà più avanti, non si può forse nemmeno parlare di una reale convivenza di due complessi distinti, ma della sostituzione di uno con l’altro.
La “Verdi” era comunque la banda “vecchia”, ed è a partire dagli ultimi anni della sua esistenza che essa è presente nei ricordi dei musicanti:
Eh…! come si fa a sapere quando ha cominciato a esserci la banda Verdi! Io posso solo dire che quando il mio papà è arrivato qui a Romagnano c’era già, e da tanti anni. Mio papà è arrivato dal Cremonese, appena dopo il militare, perché c’aveva qui un fratello, e allora l’ha fatto venire su perché là c’era un po’ di miseria e quando è arrivato qui è andato a lavorare in Cartiera. Lui era ancora giovane…, era del ’66…. è venuto su con ventisette anni, dopo sette anni di militare. Appena arrivato è andato subito nella banda, ma lui suonava già prima, era già nella cavalleria e era trombettiere del colonnello4.
La banda Verdi suonava nei “bal a palchèt”5, qualche volta facevano anche le processioni, ma era più verso i socialisti, e facevano tutte le feste, come il 1 Maggio… così; sì erano un po’ socialisti, verso quella tendenza lì insomma6.
No, no, la banda Verdi concerti non ne facevano mica, suonavano nelle feste campestri dei dintorni, nei “bal a palchèt”, negli sposalizi alla sera del matrimonio, e poi suonavano in tutte le feste di parte socialista7.
La Verdi era basata sul puro volontariato, erano una ventina, con un po’ di clarini, due o tre trombe, bombardini, tromboni, e poi il tamburo e la cassa e i piatti; non c’era nessuno che dava soldi, viveva con i servizi che faceva; erano servizi così, il ballo, baldorie e via dicendo8.
La convergenza delle testimonianze su alcuni punti fondamentali è evidente; esse costituiscono il materiale da cui è possibile ricavare importanti informazioni a proposito della banda “Verdi”.
Innanzitutto il ruolo che svolge e le occasioni in cui è presente: essa risponde in primo luogo ai bisogni di svago e di divertimento della comunità, e ciò avviene durante le ricorrenze e le feste del paese, nei bal a palchèt delle feste campestri, con le baldorie la sera del matrimonio. Presente è anche la partecipazione “ufficiale” a cerimonie civili e religiose, anche se tale funzione pare subordinata alla prima. Non apparteneva invece alle “abitudini” della banda il momento del concerto pubblico, il momento cioè specificamente ed esclusivamente musicale, che apparirà come vedremo con la nascita della banda “Vonwiller”.
Da tutto ciò si rileva che la funzione dominante di questo gruppo di musicanti è quella di assicurare il divertimento, mentre i momenti più specificamente “civici” o musicali sono subordinati a quello; ciò spiega forse anche i “lamenti” del Dionisotti riportati in precedenza.
Nelle testimonianze riportate è inoltre ricorrente l’indicazione della tendenza socialista di molti musicanti, fatto che, si vedrà in seguito, assumerà una particolare importanza nel processo di assimilazione-selezione di questa banda da parte della Cartiera Vonwiller.
Il numero dei musicanti della vecchia “Verdi” si aggira intorno alle venti unità e il repertorio è ovviamente adeguato al ruolo e alle funzioni di cui sopra:
Quelli della banda Verdi suonavano solo ballabili, valzerini, mazurche, polche, quelle robe lì insomma, che andavano bene per divertirsi, per ballare9.
Assente era inoltre ogni tipo di sovvenzionamento e le uniche fonti di sostentamento erano costituite dai proventi dei servizi effettuati.

La banda Vonwiller

La nascita di questo nuovo complesso costituisce un fatto molto importante per i futuri sviluppi della banda romagnanese, poiché essa rimarrà legata alla Cartiera Vonwiller (poi Burgo) fino all’inizio degli anni ’50.
Proprio sulla questione della nascita sono emersi nel corso della ricerca alcuni problemi circa le modalità e le motivazioni in base alle quali una nuova banda viene ad esistere nel paese, problemi ai quali qui si cercherà di fornire una spiegazione. Il primo elemento che occorre prendere in considerazione è lo statuto di fondazione del nuovo complesso, conservato nell’archivio comunale e recante la data del 1904.
In questo documento si nota che la banda “Vonwiller” venne istituita, da parte della omonima Cartiera, con lo scopo esplicito di “eseguire concerti in pubblico e per prestare servizio in occasione di festività e negli accompagnamenti di operai defunti”. Essa era costituita da un maestro, un vicemaestro, 35 elementi, tra musicanti e allievi; il maestro e il vicemaestro erano stipendiati dalla Cartiera stessa, che forniva anche il locale per le prove, le partiture e gli strumenti musicali.
Sempre sullo stesso documento si legge che “tutti i proventi per i servizi pubblici e privati, al netto delle spese di viaggio e vitto per i servizi fuori residenza e con deduzione del 10% a favore del fondo di riserva a garanzia, vengono distribuiti ogni anno nel giorno di S. Cecilia fra i musicanti, in proporzione delle presenze ai servizi prestati e della categoria a cui appartengono. Il fondo di riserva è destinato a garantire la buona conservazione e manutenzione degli oggetti dati in consegna ai musicanti”.
Leggendo questo statuto si ha immediatamente l’impressione di essere di fronte a una struttura molto diversa dalla banda “Verdi”, una struttura ben organizzata e con compiti precisi. La differenza più importante è la comparsa, tra le funzioni assegnate alla banda, di quella “concertistica”, che assume il primo posto come importanza, pur mantenendo accanto a sé le funzioni dell’accompagnamento degli operai defunti e della presenza all’interno del contesto rituale-festivo. La banda “Vonwiller” si caratterizza dunque, rispetto alla “Verdi”, per l’assunzione di un ruolo “autonomo”, cioè specificamente musicale. Si vedrà in seguito come anche tutto ciò che riguarda le prove, la “scuola”, la ripartizione in varie categorie dei musicanti, fosse sottoposto a norme precise, volte a mantenere una efficiente organizzazione in una struttura che aveva come suo scopo predominante non più la festa-baldoria ma il concerto e la “rappresentanza” della Cartiera.
Tornando alle modalità e ai motivi della nascita del nuovo complesso, si nota che le testimonianze orali non datano con precisione l’avvenimento e si limitano a indicarne l’origine nei primi anni del Novecento:
La banda Verdi “a piantava mè di burdèi an gir par al pais, ‘lura l’Nodari a lè stufiase”, è andato a Vercelli e ha portato su un maresciallo di cavalleria, che era poi il maestro Montana, per fare la banda nuova. Questa banda qui ha cominciato ai primi del secolo10.
Il Montana era professore di basso, veniva dalle bande militari. È venuto su, ha fatto un po’ di allievi, un po’ li ha presi dalla Verdi e via… Era un gran maestro come insegnamento e come udito e strumentazione, ma come bacchetta valeva un fico secco11.
Corrado Nodari, ingegnere, era in quegli anni direttore tecnico della Cartiera, carica che ricopriva dal 1880.
Dalle precedenti testimonianze sembra possibile rilevare che nel 1904 Nodari, avendo deciso di formare la banda della Cartiera, avesse cercato un maestro, Montana, bravo insegnante, e avesse dato vita ad una struttura ben organizzata che in poco tempo assorbì e fece scomparire la vecchia banda “Verdi”.
Può sembrare dunque che, durante i primi anni del secolo, a Romagnano esistessero due complessi distinti, uno facente capo alla Cartiera e uno extra-Cartiera, quest’ultimo progressivamente assorbito.
A tale interpretazione tuttavia si contrappongono alcuni aspetti contraddittori e alcuni problemi che richiedono una chiarificazione. Il primo problema riguarda la motivazione in base alla quale Nodari decise di costituire una nuova banda: nella prima testimonianza riportata in questo paragrafo l’informatore afferma che Nodari condusse il maestro Montana a Romagnano dopo “essersi stufato dei burdèi della Verdi”, e tale atteggiamento appare strano se si mantiene l’ipotesi di una totale estraneità del direttore della Cartiera rispetto alla banda “Verdi”.
Vi è inoltre un altro problema, apparentemente estraneo a questo discorso, ma la cui soluzione chiarisce anche le circostanze e le cause della nascita del complesso “Vonwiller”.
Durante le interviste fatte ad alcuni anziani musicanti ci si è avvalsi di alcune fotografie storiche; la banda raffigurata nella più antica di tali foto è sempre stata riconosciuta da essi come la “Verdi”, cioè come la banda “storica” di cui si è parlato in precedenza.
Tale riconoscimento tuttavia porta con sé alcuni elementi contraddittori: il complesso raffigurato diverge notevolmente da quello emergente dalle descrizioni orali; la banda della fotografia è innanzitutto molto più numerosa, inoltre è in possesso di una divisa militare che mal si addice alle baldorie e alle feste campestri, cioè alla funzione di divertimento specifica della “Verdi”; teniamo inoltre presente che la “Verdi” non aveva finanziamenti né era legata ad alcun mecenate, di conseguenza anche le sue condizioni economiche non giustificano una tale pomposità.
D’altra parte occorre evidenziare che l’unico elemento che permetteva il riconoscimento della banda della fotografia come la “Verdi” era il ritratto dello stesso Giuseppe Verdi sullo sfondo, ricordato e riconosciuto come il simbolo del vecchio complesso.
Le contraddizioni sopraccitate vengono risolte da una testimonianza chiarificatrice, raccolta qualche tempo dopo le precedenti; mostrando la stessa foto a uno dei musicanti che l’aveva in precedenza riconosciuta come raffigurante la banda “Verdi”, il fatto venne riconfermato, ma corredato di ulteriori e importanti spiegazioni:
Sì questa è la banda Verdi… (lungo intervallo, pensieroso, poi, con tono da “scoperta”) …ma questa era la banda Verdi che era passata già alla Vonwiller, con il maestro Genesi, il nome non me lo ricordo. Comunque qui era già dopo il 1900 senz’altro, già sotto la Cartiera, perché qui era la divisa che aveva imposto la Cartiera Vonwiller; questa era la divisa degli ufficiali di cavalleria, vedi che c’hanno il pennacchio!12.
Questa testimonianza viene a porre chiarezza su due ordini di problemi; quello più immediato è che la banda della fotografia non è quella “storica”, la vecchia “Verdi”, ma raffigura “la Verdi che era passata già alla Vonwiller, con il maestro Genesi”.
La frase riportata chiarisce inoltre le modalità del processo di formazione della nuova banda: già prima del 1904 la Cartiera aveva “assunto” la banda “Verdi” alle sue dipendenze, apportando le prime importanti modificazioni, come la presenza del maestro, la divisa e l’aumento del numero dei musicanti. Probabilmente però Nodari non riuscì a trasformare del tutto la vecchia banda, che manteneva ancora alcune delle vecchie abitudini del fé burdèl che ne turbavano l’efficienza e il prestigio. Di conseguenza risulta chiaro anche il motivo per cui Nodari importò il maestro Montana, facendolo venire da Vercelli: la ex banda “Verdi”, passata alle dipendenze della Cartiera Vonwiller, non rispondeva alle esigenze di “onorevole rappresentanza” della direzione dello stabilimento; il direttore si stufò e introdusse a capo del complesso un maestro militare, dunque ben preparato, bravo soprattutto nell’insegnamento agli allievi, e in grado di operare completamente la trasformazione della “Verdi”, con la sua “bravura” ma anche con la sua autorità.
Da tutto questo si rileva che a Romagnano non sono praticamente esistite due bande contemporaneamente: la stessa “Vonwiller”, nei primi tempi, nacque come “ex Verdi”, cioè da un assorbimento della vecchia banda e da una sua progressiva trasformazione, allo scopo di farne una struttura degna di rappresentare la Cartiera.
L’arrivo del maestro Montana e la costituzione ufficiale nel 1904 non rappresentano che l’ultimo stadio di un processo già avviatosi in precedenza. Ciò spiega anche l’imprecisione delle fonti orali sulla data di nascita della “Vonwiller”.
Sul modo in cui l’ingegner Nodari riuscì ad ottenere che la banda “Verdi” passasse alle dipendenze della Cartiera le testimonianze sono molto esplicite:
Quando la Cartiera voleva fare la banda, l’arma micidiale della Cartiera era che offriva il posto a operai che magari lavoravano più lontano, però loro dovevano andare a suonare in quella banda lì13.
La Cartiera, se volevi andare a lavorare, dovevi andare nella banda sua, facevano un po’ una specie di ricattino eh! Allora tanti son passati di là, poi han fatto venire su il maestro Montana e la banda Verdi è andata a farsi benedire14.
Quindi la formazione della banda “Vonwiller” si delinea come un assorbimento coatto della “Verdi”, sottoponendola ad opportune modificazioni. Il processo di assorbimento, di “assunzione”, fu però anche un processo di selezione; non si deve dimenticare infatti la “tendenza socialista” che caratterizzava la vecchia banda “Verdi”, e i musicanti in cui tale tendenza era maggiormente esplicita non potevano far piacere all’ingegner Nodari:
Guarda, io mi ricordo del “Silanèt” Allifranchini, che prima di partire per il militare suonava nella Verdi. Facendo il soldato aveva suonato nella banda reggimentale della fanteria, e allora chi usciva dalle bande reggimentali era molto bravo dato che la ferma durava tre, quattro o anche cinque anni, a seconda dei corpi. Comunque, quando ‘l “Silanèt” era arrivato da soldato non è più andato nella nuova banda, non l’hanno preso anche se era bravo, perché era un socialista. Così è capitato a tanti della banda Verdi15.
Nodari offriva dunque il posto di lavoro ai bravi musicanti della “Verdi” affinché passassero a costituire la formazione della Cartiera; ma, ovviamente, tale espediente non era conveniente rispetto ai bravi musicanti che erano anche socialisti: meglio un bravo musicante in meno che un socialista in più.
L’arrivo di Montana e l’anno 1904 segnano dunque solo l’inizio ufficiale della banda “Vonwiller”. Si è già accennato al diverso livello organizzativo di tale struttura rispetto alla vecchia “Verdi”; la “Vonwiller” ha come scopo primario quello di eseguire concerti, e ciò porta importanti modificazioni anche a livello di repertorio: non più soltanto ballabili, marcette, polke e così via, ma anche le prime ouvertures, fantasie d’opera, sinfonie. È con il maestro Montana infatti che arrivano a Romagnano le prime partiture operistiche e sinfoniche, e che inizia a costituirsi il cospicuo archivio musicale ancora oggi in parte esistente. Anche il settore “scuola di musica”, che, come si è visto, era il principale scopo per cui fu chiamato Montana, presenta un regolamento preciso:
La Cartiera pagava le ore di studio. Come allievo bisognava fare la domanda in Cartiera e se uno era socialista già non lo prendevano; per andare a scuola si pagava 5 lire al mese, poi si faceva un anno di noviziato nella banda e il maestro Montana decideva se uno doveva tenerlo o sbatterlo fuori dalle balle. Se dopo l’anno di noviziato non si veniva presi si perdevano i soldi della scuola, se invece si entrava proprio nella banda allora i soldi dati fuori per la scuola venivano dati indietro. Le prove si facevano due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì16.
Nella banda c’erano tre categorie di musicanti: la più bassa era la terza, dove si andava subito dopo il noviziato, poi c’erano la seconda e la prima17.
La banda appare ora come una formazione ben strutturata e funzionante, con giorni fissi per le prove, tre categorie di musicanti, scuola di musica; addirittura i musicanti percepiscono denaro, che viene distribuito il giorno di S. Cecilia, dopo aver detratto dagli incassi il necessario per le spese di mantenimento.
Il maestro Montana, nato nel 1852, rimase alla direzione della banda di Romagnano fino al 1930.
Si è visto che fra le varie regolamentazioni introdotte nel complesso quando esso passa alle dipendenze della Cartiera, un settore importante è costituito dalla “scuola”, cioè dalle prove bisettimanali, necessarie per preparare i brani da eseguire in concerto. Il passare le sere a “far scuola” costa indubbiamente anche fatica e sacrificio ai musicanti; tuttavia la banda resta un luogo che si oppone, per la qualità del tempo che occupa, al tempo di lavoro; sulla fatica vince senz’altro la passione, che è occupazione piacevole e utile del tempo libero ed è anche svago e divertimento.
In quei tempi là la musica era l’unica distrazione che c’era, non c’erano divertimenti, non c’era niente. Allora andare a far scuola si trovavano anche gli amici, si chiacchierava, si rideva, e era bello anche se era un po’ una fatica18.
L’organismo costituito dalla banda musicale, soprattutto nei paesi, è caratterizzato da un associazionismo volontario, dalla presenza della passione che unisce persone diverse per professione, interessi e idee. Tali complessi costituiscono momenti molto importanti di coesione collettiva, di solidarietà, di aggregazione; rappresentano dei nuclei comunitari, dei momenti di vita sociale, spesso unici, nel contesto paesano. Risulta chiaro quindi che, in un’associazione di questo tipo, non è sufficiente il solo affiatamento musicale ma è forse più fondamentale l’affiatamento sociale, interpersonale.
Il momento della “prova”, della “scuola”, risponde ad entrambe queste esigenze: durante le prove non solo si studia il nuovo brano per il concerto; la scuola non rappresenta esclusivamente il momento tecnico-musicale, ma rappresenta, e fondamentalmente, un’occasione per incontrarsi, per scambiarsi idee e opinioni, costituisce cioè un momento di scambio comunicativo più generale e profondo.
A Romagnano, durante il primo decennio del secolo, non c’è tuttavia solo la banda ad assicurare la presenza della musica come polo di aggregazione:
Questa qui è la mandolinistica, eh… qui c’era ancora il “Tapilun” che suonava l’armonica. Andavano suonare negli sposalizi, alla sera; qui era negli anni 1906-7, comunque prima del ’10, sicuro.
Suonavano negli sposalizi e poi si trovavano loro a far quella mandolinata, ma non facevano servizi. Ce n’era che suonavano anche nella banda qui. Quando facevano il pranzo poi la sera si ballava, suonavano tutta roba da ballare, valzerini, valzeroni, mazurche
19.
Poi c’era anche una fanfara alle Cascine della Mauletta, e facevano tutto “bal a palchèt”20.
La “mandolinistica” rappresenta dunque il luogo dove anche i musicanti della banda ritrovano come predominante il momento del divertimento, spogliato dell’ufficialità e serietà che riveste la struttura bandistica. Una funzione simile è svolta, come si vedrà, anche dalle squadre da ballo.
Della banda “Vonwiller” si ricordano anche i primi nomi di suonatori, specialmente i più “forti”:
Nella banda, dopo che era sotto la Cartiera, c’era un basso formidabile, De Paolis; faceva le quattro ottave col basso in fa; perché s’andava a suonare al carnevale di Gattinara, e c’era uno là che suonava il basso in fa, uno che sparava giù da matti e non c’era nessuno capace di suonare come lui, e allora questo qui gli ha detto: be’, facciamo la gara io e te; ha preso il fa sotto, fa, fa e fa, e l’altro non è stato capace di farlo21.
Con l’inizio della guerra quasi tutte le bande paesane tacciono, e così anche quella di Romagnano. È una conseguenza evidente del conflitto ma anche il simbolo, il segnale della fine provvisoria della festa, del divertimento. La vita della banda riprenderà dopo la guerra.

La banda e il ballo

La banda musicale riassume in sé una molteplicità di ruoli e, di conseguenza, assolve a diverse funzioni all’interno della comunità: varie sono infatti le occasioni in cui essa è presente, dalle feste nazionali a quelle patronali, dalle parate alle feste civili e religiose, dai funerali alle processioni e ai concerti.
È possibile sintetizzare questa integrazione di funzioni isolando due diversi contesti in cui la banda è presente: il contesto festivo, o, più in generale, “rituale”, e il contesto autonomo del concerto. Quest’ultimo, specificamente musicale, è di origine recente – nasce infatti tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento – e coincide con la nascita stessa della banda moderna. Al contrario, la presenza della “musica per fiati” all’interno del contesto festivo e rituale ha origini remote: essi hanno infatti sempre avuto il compito di segnalare, di scandire, ogni tipo di ricorrenza, cerimonia o festa. In tale circuito, accanto alla funzione strettamente “civica” e ufficiale, essi hanno sempre avuto anche la funzione di assicurare il divertimento, in cui il momento centrale e dominante è costituito dal ballo. Con la nascita della banda musicale nasce un organismo al quale molto spesso spetta il compito di organizzare il ballo, fatto normale almeno fino al secondo dopoguerra.
Quindi all’interno del circuito rituale-festivo la banda non ricopre soltanto il ruolo di rappresentanza ufficiale ma è al tempo stesso espressione dei bisogni di svago e di divertimento collettivo.
Ai tempi, ai momenti in cui andava in voga la polca, la mazurca e queste cose qui, nei balli “a palchèt”, dove si ballava con la corda, chiamavano elementi della banda; si mettevano insieme gente che suonava in banda per andare a prendere qualche lira o le cinque lire… 22.
Naturalmente, per ragioni facilmente comprensibili, sia musicali che pratiche, nel bal a palchèt non può suonare la banda al completo. Anche per questa ragione nascono delle formazioni strumentali, costituite in prevalenza da fiati, con caratteristiche diverse da quelle della banda:
Quando c’erano i “bal a palchèt”, come qui a S. Silvano, a Prato Sesia, a Baragiotta e alle Cascine della Mauletta, allora non poteva mica andare tutta la banda a suonare sul “bal a palchèt”, allora si sceglievano i migliori non so, una tromba e due clarini per il canto, due accompagnamenti e il basso, per tenere insieme, no; e allora facevano due squadre e facevano due ore ciascuno; dalla banda tiravano fuori quei dodici, quindici elementi e facevano due squadre in modo che fossero all’altezza tanto una quanto l’altra, per non avere poi dei scompensi; ma suonavano neh!, perché era gente brava, valzer, polche, mazurche, allora era così….Sì, sì, “la ciamavu ‘na squadra”23.
Tali formazioni costituiscono delle strutture “aperte”, relativamente estemporanee, e – al contrario della banda – raramente fanno prove o studiano i brani da eseguire: ognuno introduce nel repertorio il brano che conosce e gli altri accompagnano. La “squadra”24 rappresenta per i musicanti un momento di maggiore libertà rispetto alle regole e all’ufficialità della banda; inoltre in queste formazioni si suona quasi sempre a pagamento, sebbene si trattasse sempre di un’attività non professionistica.
Con le squadre sono andato tante volte anch’io, e si suonava e ci si divertiva da matti…
Ah sì ci pagavano, anche bene qualche volta, adesso i tempi son cambiati, i “bal a palchèt” non ci sono neanche più
25.
Se i compensi per i servizi vanno in questi casi ai singoli suonatori, non bisogna dimenticare d’altra parte che il bal a palchèt è di proprietà della banda, che lo affitta per le feste anche al di fuori del paese, e che rappresenta per essa un’importante fonte di sostentamento.
A partire dal dopoguerra, in conseguenza di trasformazioni più generali che riguardano i modi di vita, i rapporti sociali, gli stessi modi di divertimento, di festa e di gusto musicale, si producono all’interno delle squadre alcune trasformazioni che, progressivamente, porteranno alla loro scomparsa, o quasi, in quanto tali, a vantaggio del crescente successo dell’orchestrina. La presenza della radio, della televisione, delle sale da ballo, causano quindi profondi mutamenti nella squadra, sia per quanto riguarda il repertorio (ingresso della canzonetta), sia per quanto riguarda l’organico (presenza del cantante e di altri strumenti oltre quelli a fiato), fino ad arrivare appunto alla sostituzione con l’orchestrina, più rispondente ai mutati desideri del pubblico, ai luoghi in cui si balla e alla nuova organizzazione del divertimento.

Vita di banda: 1920-1945

Dopo la guerra la vita riprende, ritornano ad essere presenti i momenti della festa, del ballo, dello svago; anche la banda quindi, in quanto struttura che assicura gran parte di questi momenti, riprende nuovamente a funzionare. La seconda guerra mondiale costituirà il successivo punto di arresto per l’attività del complesso romagnanese, come, del resto, per la maggior parte delle bande italiane.
Nel 1930 arriva a dirigere la banda il maestro Piero Vidale, che resterà fino al 1945. Anch’egli naturalmente era stipendiato dalla Cartiera, diventata nel frattempo Cartiera Burgo.
Vidale arriva a Romagnano come pianista, chiamato per suonare nell’orchestra del dopolavoro Burgo, e successivamente gli viene assegnata anche la direzione della banda. Proprietario di una casa editrice, compose numerose musiche per banda, soprattutto sul tipo della marcia, composizioni che provava, prima di inviarle alla stampa, con il complesso di Romagnano.
Il periodo che qui viene preso in considerazione è quello che vede l’avvento del fascismo. In generale l’atteggiamento del fascismo nei confronti dei complessi bandistici fu ambivalente: da una parte fornì a tali strutture numerose occasioni per suonare, per emergere e per dimostrare la loro validità; d’altra parte delle bande venne esaltato esclusivamente l’aspetto rituale, “di parata”, mentre venne disconosciuta la loro caratteristica principale, quella cioè di essere organizzazioni musicali autonome e autogestite; esse vennero infatti spesso inserite nei dopolavoro e sciolte come associazioni autonome.
I ricordi dei musicanti in merito alla banda di Romagnano in quegli anni non sono caratterizzati da una critica esplicita alle ingerenze del fascismo:
Durante il fascismo la banda era sempre sotto la Cartiera, pagavano le ore, quelli che dovevano uscire alle dieci uscivano alle otto per le prove; c’era il maestro Vidale, e allora si dovevano fare tutti i servizi per le feste fasciste (l’avverbio “allora” è usato in senso temporale)26.
Ciò è forse dovuto sia all’ambivalenza dell’atteggiamento del fascismo, di cui si è parlato, sia al fatto che l’obbligo di presenziare alle feste non costituiva per la banda di Romagnano una netta contraddizione rispetto alla sua precedente organizzazione: essa non era mai stata un’organizzazione autonoma; al contrario, era sempre stata “dipendente” dalla Cartiera, della quale, come si è visto, aveva fin dall’inizio subito le imposizioni. Di conseguenza è probabile che l’obbligo di presenziare alle cerimonie fasciste non sia stato vissuto come una grossa limitazione delle proprie libertà decisionali.
Anche per questo periodo sono infatti testimoniate le ingerenze della Cartiera nella vita della banda:
Le uniche cose che si possono dire imposizioni era che, per esempio, c’era uno di Ghemme, che si diceva che era un bel clarinetto, e allora la Cartiera gli ha offerto il posto se veniva a suonare nella banda, e così anche due o tre altri elementi che qui erano un po’ restii a entrare; però con la prospettiva di andare a lavorare in Cartiera, che allora era un po’ un privilegio, tre o quattro sono entrati27.
L’entrare a far parte della banda non era quindi sempre un’azione caratterizzata dalla libera scelta, o dettata esclusivamente dalla passione per la musica.
Anche per quanto riguarda il repertorio non si registrano differenze particolari, tranne l’inserimento di qualche pezzo d’obbligo da eseguirsi durante le parate.
Numerosi sono i ricordi riguardanti i concorsi, che costituiscono le “medaglie al petto” di ogni banda, e che forniscono informazioni sul repertorio che veniva eseguito:
Oh… di concorsi ne abbiamo fatti tanti! Nel ’33 siamo andati a Novara e abbiamo vinto il primo premio. Lì avevamo fatto “La gazza ladra” come pezzo d’obbligo e la “Carmen” come pezzo libero. La “Carmen” la facevamo quasi sempre perché c’erano tante parti a solo per il flicorno soprano, che suonavo io, e che – modestamente – credo che le facevo abbastanza bene28.
Nel ’34 abbiamo vinto il primo premio anche a Gozzano, poi c’era la cena pagata per tutta la banda e il concerto d’onore alla sera. Lì avevamo fatto il “Nabucco” e la “Guarany” e la “Carmen ” alla sera29.
Invece a Nizza Monferrato fu un disastro. Lì c’erano bande di prima categoria, quella di Abbiategrasso, di Voltri, di Rivalta Bormida. Quella volta abbiamo preso il terzo premio di consolazione, perché non c’erano più bande. Il motivo è che c’era come pezzo d’obbligo il “Matrimonio segreto”, e noi avevamo dei clarini che facevano acqua da tutti i buchi, figuriamoci nel “Matrimonio segreto”!!, che era un pezzo difficile per i clarini, e allora un po’ si erano anche rifiutati di venire. Quando abbiam sentito quella di Bormida fare quel pezzo lì… “n’duma cà fiöi, n’diamo casa!!”30.
Come si è già detto, la seconda guerra mondiale rappresenta la seconda tappa di silenzio forzato della banda.
Il 25 aprile 1945 sarà la banda stessa, con la sua ricostituzione, ad annunciare la Liberazione:
Il 25 aprile del ’45, dopo che era un po’ che era tutto fermo, abbiamo fatto la banda quel giorno lì, e siamo andati in giro per il paese a suonare l’ “Inno dei lavoratori”. Dell’ “Inno dei lavoratori” c’era solo una partitura con solo il canto e siamo stati su tutta la notte per mettere giù la strumentazione e per scrivere le parti. Poi al mattino a scuola l’abbiamo provato, e poi siamo usciti per le strade31.
Il 1945 è anche l’anno in cui avvenne “l’epurazione” del maestro Vidale, che fu sostituito da Vittorio Travostino, organista di Gattinara, che diresse la banda per circa due anni.
L’epurazione del maestro Vidale pone in evidenza le prime esplicite esigenze di indipendenza della banda da ogni struttura esterna, in particolar modo dalla Cartiera, dalle sue imposizioni, impersonate e simboleggiate probabilmente dallo stesso maestro; inoltre vengono a crearsi anche alcuni problemi interni e addirittura alcune defezioni:
…comunque ‘sto Vidale era pagato dalla Cartiera e dettava un po’ legge, difatti dirigeva col basco nero. Allora nel ’45 era venuta l’epurazione e allora c’era un certo “Pier” Galloni Pietro, che era rientrato dalla Francia, e c’era anche il Bracchi, che era con Vidale e tutti quelli lì, perché lui si era fatto lì no?, aveva fatto anche l’orchestra dell’OND; e il “Pier” diceva che adesso la banda non bisognava più farla della Cartiera, che dovevamo essere un po’ più liberi e che dovevamo epurare il Vidale.
Bracchi non era d’accordo perchè diceva che il Vidale non aveva fatto niente di male e allora lì si sono insultati e anche presi a botte durante la scuola, ma io non le ho mai viste quelle scene lì. Allora avevamo fatto le votazioni, e era uscito che Vidale doveva andare via e allora è andato via anche il Bracchi
32.
Quindi l’allontanamento del maestro Vidale fu probabilmente causato più dalle sue “convivenze” con la Cartiera che non con il fascismo, anche se fu motivato come “epurazione”.

La cessazione dell’attività e la ricostituzione

All’epurazione del maestro Vidale tuttavia non seguì la costituzione della banda come struttura autonoma, e il complesso restò sotto la vigilanza dello stabilimento Burgo fino al 1948, anno in cui la Cartiera stessa ne decretò la cessazione dell’attività.
L’occasione fu un concorso, svoltosi a Torino:
Nel ’48 siamo andati a Torino a fare un concorso, dove c’erano sette bande. Siamo arrivati quarti. Come pezzo d’obbligo c’era il “Nabucco” e come pezzo a scelta noi avevamo la “Guarany” di Gomez. Il maestro allora era Sabatini, che era arrivato nel ’47. Siamo arrivati quarti solo perché nella “Guarany” ad un certo punto bisognava fare un bel crescendo e finire tutti insieme, di colpo; e siccome il piattista non leggeva mai la musica ma era il cassista che gli faceva sempre segno con il gomito, lì non si sono capiti bene, o il piattista non stava attento, comunque si è sentito un bel colpo di piatti quando eravamo già tutti zitti.
Proprio dopo quel concorso lì il direttore della Cartiera, che allora era Cerrina, ci dice: “Ah… non siete capaci, io ne ho abbastanza di spendere soldi per la banda”, e allora ha chiuso tutto
33.
In seguito all’errore che causò il non felice piazzamento al concorso di Torino – anche se la banda di Romagnano fu riconosciuta ufficiosamente come la migliore – la Cartiera decise che il complesso non aveva più ragione di continuare ad esistere e “chiuse a chiave” gli strumenti. Da questo momento la banda non svolgerà più alcuna attività fino al 1953. Alla fine di quell’anno si ricomincia a parlare, fra i musicanti, di ricostituire la banda; tutti sono d’accordo sul fatto che essa non dovrà più essere sotto il controllo della Cartiera, al contrario essa dovrà essere autonoma e completamente autogestita. Proprio in quel periodo Giuseppe Boietti, attuale vicemaestro, iniziò con le lezioni ai ragazzi; questi allievi, dopo circa un anno, uniti a qualche “vecchio” musicante, avrebbero dato vita alla nuova banda.
Nel 1954 abbiamo fatto un regolamento, l’aveva fatto il “Pier”, quello che era stato in Francia, in collaborazione con me; e lui la voleva la banda ma non più sotto la Cartiera, questa era la sua idea; diceva: “Facciamo una società di musica ma non sotto la Cartiera, per nostro conto”. C’era un circolo socialista, il circolo Paracchini, e lì, sopra il circolo, ci avevano dato un buco per noi. E lì ho cominciato proprio io con l’insegnamento; quando i ragazzi sono arrivati ad un certo livello, erano in diciassette, allora siamo andati a cercare un po’ di quelli vecchi, che era un po’ di anni che non si suonava più, allora ci siamo messi insieme e ci siamo ripresi34.
Quindi la banda iniziò a funzionare nuovamente, con una nuova sala per le prove che, anche se stretta e non molto accogliente, non apparteneva alla Cartiera. Gli strumenti invece, anche se teoricamente erano già stati ampiamente riscattati, appartenevano ancora alla direzione dello stabilimento che, infatti, tentò in un primo momento di negarne l’uso:
Gli strumenti erano sempre della Cartiera, anzi, a dire la verità, la Cartiera non ce li voleva dare perché ci hanno visto andare al circolo Paracchini che era un circolo socialista; non hanno mai voluto fare un vero e proprio passaggio di proprietà, preferivano lasciarli marcire quegli strumenti; ma noi poi li abbiamo usati, perché c’era questo “Pier”, il segretario della banda, che diceva che gli strumenti dovevano essere nostri; anche perché quando noi li abbiamo prelevati dopo la stasi della guerra erano tutti malmessi e noi li abbiamo mandati in giro a rifare e siamo andati anche in giro per il paese a racimolare soldi e offerte35.
Nel 1954 la banda eseguì le prime marce in pubblico; nello stesso anno venne stilato anche il regolamento che decretava la fondazione della “Banda Musicale Cittadina”.
Durante questo primo periodo di nuova vita per il complesso romagnanese fu alla direzione il maestro Antonio Brusorio, di Grignasco, che fu anche il primo maestro a essere pagato direttamente dalla banda, con i proventi dei servizi. Brusorio restò fino alla fine del 1955. I due anni successivi furono ricoperti, nel ruolo di direttore, da Daddio, maresciallo romagnanese e ex clarinetto in una banda dell’esercito, e da Antonio Iezzi. Entrambi erano pagati dalla banda. Nel 1958 la banda ritornò nelle mani di Sabatini, che resterà fino al 1961, anno della sua morte.

La scomunica

Pensa che… sarà stato nel ’58, quegli anni lì, siamo stati anche scomunicati!! È successo perché ci avevano chiamati a suonare alla Festa dell’Unità, e il nostro presidente, Rafagni, si era raccomandato: “Andate pure, ma non in divisa, andate ma in borghese”, così non c’era niente da dire o da protestare, perché nell’articolo del regolamento c’era che non si poteva prender parte a lotte politiche. Noi allora eravamo andati su in borghese ma anche con la cassa con scritto “Banda Musicale Cittadina”; allora, non so chi, qualche persona del paese ha protestato attaccandosi a questo fatto qui, e il direttore della Cartiera, dove lavoravo, mi aveva anche mandato a chiamare in fabbrica e mi aveva detto: “Boietti questo da lei non me lo aspettavo”. E appunto, ci avevano anche scomunicato, io, il presidente, insomma i “dirigenti” della banda; e il Rafagni lì ha dato le dimissioni.
Poi le cose si sono aggiustate, perché avevamo scritto una lettera al parroco cercando di spiegare il fatto; il parroco era don Tosi, e le cose si erano calmate: perdonati! Ma il bello è venuto dopo, forse una settimana dopo, che eravamo a Omegna per l’inaugurazione di un’ala dell’ospedale; e li c’era anche il vescovo, monsignor Gilli Gremigni; e allora lì, mentre il vescovo arrivava, non gli viene in mente di chiedere a uno dei nostri musicanti da dove veniva quella banda?! Questo qui, quando ha detto che eravamo di Romagnano… apriti cielo!! Allora ha piantato lì tutto e diceva che lui non voleva più andare avanti con degli scomunicati. Poi gli abbiamo spiegato della lettera, che le cose erano già state risolte, e allora ce la siamo ancora cavata
36.
L’articolo del regolamento a cui si fa riferimento nella testimonianza afferma che “la società [musicale] non dovrà perseguire nessuno scopo politico né prendere parte a lotte di nessun genere, danneggiando tutto ciò l’armonia e la compattezza della società medesima37.
Tuttavia, probabilmente, la protesta per la partecipazione della banda ad una manifestazione politica si basò, più che sulla conoscenza diretta di tale articolo, sul risentimento e sull’offesa patita da membri di “parte avversa”, offesa dovuta al fatto che una struttura che era “di tutti” prestasse servizio – e la cassa ne sanciva l’ufficialità – in una occasione che non coinvolgeva per intero la comunità e il paese.
L’anno successivo, a Romagnano Sesia, in occasione della Festa de l’Unità, prestò servizio la Banda Cittadina di Biella.

I maestri

Nel 1961 giunse a dirigere la banda di Romagnano il maestro Antonino Tatone. Nato a Serramonacesca (Pescara), con una lunga esperienza di direzione di “bande di giro”, approdò nel 1956 a Biella. Tatone restò alla guida della banda di Romagnano fino al 1972, un po’ fisso e un po’ saltuario; la preparazione musicale generale fu comunque sempre svolta da Giuseppe Boietti, mentre il maestro presenziava esclusivamente alle prove ufficiali.
All’interno della banda musicale la figura del maestro è di fondamentale importanza. Egli deve saper riassumere in sé una molteplicità di funzioni: innanzitutto quella più ovvia di direttore, poi quella di “maestro di musica”, anche se non di rado l’insegnamento agli allievi viene fatto da un vicemaestro; quella di trascrittore o adattatore dei vari brani, in modo che essi siano riproponibili dal proprio complesso senza grosse deviazioni dal modello originale. Oltre a queste funzioni strettamente “musicali” il maestro svolge poi tutta una serie di funzioni che potremmo chiamare socio-relazionali: il proprio rapporto con i musicanti, la capacità di risolvere i vari problemi interni al complesso, la capacità di introdurre innovazioni, fanno sì che vi siano più o meno stimoli per la permanenza o l’entrata in banda. Si capisce quindi quale sia l’importanza di tale figura, specie se si tiene conto che essa si inserisce all’interno di una struttura caratterizzata dalla partecipazione volontaria, amatoriale, e che quindi si differenzia notevolmente da altri tipi di complessi, come per esempio le stesse bande militari o l’orchestra professionistica38.
Il passaggio dei vari maestri all’interno della banda coincide inoltre quasi sempre con mutamenti nel repertorio della banda stessa:
Già con Vidale facevamo delle cose belle, ma il periodo con Tatone eravamo proprio in auge. Lui era forte soprattutto per le musiche operistiche, e con lui giravamo dappertutto. Quello li è stato forse il momento più bello39.
La banda di Romagnano Sesia sembra dunque non aver subito alcun deperimento durante un periodo, gli anni ’50 e ’60, che al contrario rappresenta in genere il momento di crisi per tali organismi; anzi, questi anni sono presenti nei ricordi dei musicanti come il momento più bello, quando con un gruppo di amici ci si spostava ogni sera in una banda diversa, quando si suonavano i pezzi più belli e impegnativi. A questa “anormalità” della banda di Romagnano ha contribuito in modo fondamentale la figura del maestro Tatone, che con le sue capacità e la sua intraprendenza ha fatto sì che la banda conservasse un suo ruolo insostituibile e che non le venissero a mancare le forze per continuare ad esistere.
Nel 1972 giunse a dirigere il maestro Guerrino Allifranchini. Romagnanese, diplomato in clarinetto e valido jazzista, ha anche lui introdotto numerose innovazioni nel repertorio, innovazioni che hanno avuto come risposta l’accorrere di molti giovani a rinforzare l’organico della banda:
In questi ultimi anni Guerrino ha introdotto i pezzi jazz; già Vidale aveva tentato di fare le “Melodie in vacanza”, “Follie Cinquanta”, ma proprio quei foxtrottini leggeri, non avevano un gran valore artistico. È anche merito del signor Cavanna, il nostro presidente, se facciamo questi pezzi qui, perché lui per il suo lavoro viaggia e allora dall’America portava a casa delle partiture, che però costano da matti eh!…
Adesso nel repertorio ci sono pezzi di Duke Ellington, Glenn Miller, tutte queste cose lì….ah i musicanti hanno accolto bene questi pezzi un po’ moderni, anche perché la banda ormai è fatta quasi tutta da giovani, e noi un pochino più anziani siccome abbiamo sempre fatto un po’ di orchestra allora eravamo già un po’ abituati
40.
L’introduzione del jazz orchestrale nel repertorio della banda è senza dubbio una delle strade da seguire in prospettiva del suo rinnovamento; la banda di Romagnano Sesia, molto nota nei dintorni proprio per la “novità” che include nel suo programma, dimostra come queste innovazioni attraggano molti giovani che trovano in questi complessi valide risposte ai loro bisogni di fare musica, e musica che a loro piace.

 

Note

* Rielaborazione di un capitolo della tesi di laurea Il ruolo della banda nella cultura popolare musicale, Università degli Studi di Bologna, a.a. 1980-81, relatore prof. Roberto Leydi.

1 C. Dionisotti, La Valsesia e il comune di Romagnano Sesia, Novara, 1871, p. 201. Vedi anche C. Brugo, La Banda musicale di Romagnano Sesia, Romagnano Sesia, 1981.

2 A. L. Stoppa, Il Venerdì Santo di Romagnano Sesia, Novara, 1979, p. 13.

3 A. L. Stoppa, op. cit., p. 15.

4 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

5 I bal a palchèt erano delle pedane in legno smontabili, recintate e coperte da un telone che venivano trasportate di festa in festa.

6 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

7 Testimonianza orale di Domenico Donetti.

8 Idem.

9 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

10 Testimonianza orale di Domenico Donetti.

11 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

12 Idem.

13 Idem.

14 Idem.

15 Testimonianza orale di Domenico Donetti.

16 Idem.

17 Idem.

18 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

19 Idem.

20 Testimonianza orale di Domenico Donetti. Per maggiori informazioni sulla fanfara della Mauletta vedi C. Brugo, op. cit., p. 37.

21 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

22 Testimonianza orale di Giuseppe Boietti.

23 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

24 In altre zone del Piemonte la squadra è chiamata ël quintët, müdi, fanfara, ël trumbi, pur continuando a designare lo stesso tipo di complesso strumentale. Su questo argomento vedi: A. Vigliermo, Ël quintët, Ivrea, Priuli e Verlucca, 1979; D. Jalla, Sui Balli in La Müsica. Storia di una banda e dei suoi musicanti, Piossasco, 1980.

25 Testimonianza orale di Giuseppe Boietti.

26 Idem.

27 Idem.

28 Testimonianza orale di Arnaldo Bracchi.

29 Idem.

30 Idem.

31 Idem.

32 Testimonianza orale di Giuseppe Boietti.

33 Idem.

34 Idem.

35 Idem.

36 Idem.

37 Nel periodo della ricerca tale regolamento si trovava nell’archivio della banda, presso la sala prove.

38 D. Jalla, op. cit., pp. 52-53.

39 Testimonianza orale di Giuseppe Boietti.

40 Idem.

 


Sulle regole per le Feste da ballo, un avviso del 1894

16 novembre 2009

Di seguito riporto due bei documenti che ci raccontano quanto poteva accadere durante le serate danzanti, e le preoccupazioni e le azioni riguardanti la tutela dell’ordine pubblico da parte dell’autorità.

 

Cat. XVIII N° 4, 12 Giugno 1894

Lettera del brigadiere Comandante della stazione di Sant’Ilario d’Enza al Sindaco, oggetto: “Per la tutela dell’ordine pubblico nella ricorrenza di feste da ballo in S.Ilario”.

 

S.Ilario addì 11 Giugno 1894

 

Ho l’onore di sottoporre alla ben nota cortesia della S.V.Ill.ma che domenica 10 and. nella circostanza della pubblica festa da ballo tenuta nella locale sala del teatro comunale, si ebbe a lamentare i soliti biasimevoli disordini fra vari danzanti ed i soliti individui poco amanti dell’ordine pubblico e se nulla di serio si è verificato, lo si deve all’intervento pacificatrice dell’arma ed a buon numero di cittadini.

A mio rispettoso modo di vedere i disordini che di continuo si verificano sulla festa da ballo, li si devono attribuire ai sistemi poco conformi fra i vari costumi dei danzanti.

Per questi motivi ed allo scopo che per lo avvenire l’ordine pubblico non venga più manomesso, io sarei del rispettoso avviso che il permesso del ballo venga concesso sotto speciali condizioni ed all’uopo la prelodata S.V.Ill.ma, salvo suoi pareri contrari, potrebbe valersi del disposto dell’art° 434 del vigente codice penale in base al quale stabilire un sistema conforme che disciplinasse l’ordine interno del ballo da affiggersi al pubblico con apposito manifesto, in base al quale ed in relazione al disposto del citato articolo 434, quest’arma avrebbe maggior forza da operare in base di legge contro coloro che contravvenissero alle regole che da lei fossero date.

Nulla d’incontrario ed anzi approverei pienamente che fosse proibito fermamente qualsiasi pubblica festa da ballo per i riconosciuti motivi d’ordine e di S.a p.a.

 

Il Brigadiere

Comand. La Stazione

Rinaldini”

 

In seguito a tale comunicazione, il sindaco, recependo quanto suggerito, stilò e fece affiggere il seguente avviso:

 

 

Discipline per le pubbliche Feste di ballo

Il Sindaco

 

Visto l’art.39 della Legge di P.S. E 434 del Codice Penale;

A tutela dell’ ordine pubblico nelle Feste di Ballo,

Determina:

D’ora innanzi nelle dette Feste dovranno osservarsi le seguenti prescrizioni.

I° E’ proibito disturbare la pubblica quiete con clamori, fischi, canti, alterchi, ecc.

II° E’ vietata l’entrata di persone ubbriache e pericolose.

III° E’ vietato di pretendere che si suonino determinati inni od altro, contro l’ ordine stabilito dal Capomusica.

IV° E’ fatto obbligo di ballare in modo da non urtare le coppie danzanti, né cagionare ingombro o sgambetto alle medesime. E’ ritenuta circostanza aggravante se quanto è prescritto dal precedente inciso sia trasgredito da coppie d’uomini.

V° I contravventori al presente manifesto ed agli ordini della Forza Pubblica, incaricata di farlo osservare, saranno denunciati all’ Autorità Giudiziaria per l’opportuno provvedimento e potranno essere espulsi dal locale ed anche immediatamente arrestati.

Dalla Residenza Comunale di S.Ilario d’ Enza

li 20 luglio 1894

Il Sindaco Simonazzi

 

I due documenti sono conservati nell’ ARCHIVIO DEL COMUNE DI SANT’ILARIO D’ENZA

FILZA 62, ATTI AMMINISTRATIVI, 1894


BARCO E IL SUO CONCERTO

20 ottobre 2009

La storia del liscio è storia di tasselli, pezzi di un mosaico che ogni frazione rurale, ogni paese agricolo, ogni “castello” proletario compose. Ed è storia scritta spesso da appassionati, eruditi, protagonisti e testimoni locali, vincolati al ricordo non solo da reticoli familiari, ma dal debito più forte della memoria. E per alcuni di loro ha significato farsi testimoni pubblici di una memoria collettiva e generazionale che, tenacemente, ritorna sui suoi passi per consegnare al futuro le sue verità. L’esempio che segue, come tanti altri, è importante non solo perché fissa sulla carta informazioni preziose con le quali lo storico deve confrontarsi, ma anche perché tramanda il racconto collettivo di un paesaggio sonoro ormai lontano. Buona lettura.

Barco e il suo concerto

I. Le origíni

Barco, estate 1932.

Virgilio Carlesi, critico musicale del «Corriere della Sera», ferma la sua macchina accanto alla píazza per chiedere informazioni. Poco più tardi Palmiro Melioli, capo del concerto di Barco, se lo trova davanti alla porta pronto ad intervistarlo. Verso sera il giornalista, nella sala sovrastante l’osteria della Linda, sta ascoltando il concerto in alcune esecuzioni. Pochi giorni dopo il «Corriere della Sera» esce con un articolo a più colonne titolato Barco e il suo Concerto.

Parla di melodie stupende, parla di uno stile nuovo, parla di musica spontanea, eccezionalmente popolare e di una sorta di magia che da essa scaturisce.

E’ l’ultimo degli eventi che portarono al culmine grazie a questa sua musica, la notorietà di un piccolo Borgo di campagna di non più d’un migliaio di abitanti dediti all’agricoltura e a piccoli commerci, sulla piana reggiana della Val d’Enza.

La musica è sempre l’espressione del suo tempo e sempre riflette l’immagine del suo ambiente. Nei primitivi ha carattere magico e rituale. Tra i Greci entra nella vita sociale come educazione alla bellezza e all’armonia spirituale. Decade nella vecchia Roma e nel Medioevo assume carattere sacro. Dal XVII sec. al sec. XIX con il Melodramma diventa espressione di carattere popolare. Dal Melodramma all’Operetta la musica inizia ad alleggerirsi e questo modo di rendersi popolare si accentua con i grandi Valzer Viennesi. E qui si colloca la musica di Barco prima che inizi l’era della canzonetta. Ed è un anello di quella catena che rappresenta la vita e l’evoluzione della muusica. Verranno poi gli Spirituals e i Blues con i canti sommessi della gente di colore che aspira ad una vita libera.

Verrà il Rock sguaiato e provocatorio a contestare una vecchia e rigida morale corrente e trarrà a sé i disagi e le inquietudini di quel tempo, quello della guerra del Viet Nam. Verrà il Rock e porterà nella sua rumorosità il rombo del Jet, l’assordante rumore del traffico e lo straziante gracchiare degli altoparlanti.

Vediamo di ritornare a ritroso nel tempo sino a raggiungere le condizioni d’ambiente in cui il Concerto nasceva ed operava, per cercare di capire questa sua musica e il perché di questa sua musica. Proviamo ad immaginare Barco, settanta o ottanta anni fa, quando il passaggio di un’auto diventava avvenimento. S’udì il fischio della Reggio-Ciano solo nel 1911. Rimanevano nell’aria il canto degli uccelli, il verso delle galline sul cortile, il nitrire d’un cavallo e lo stridore del biroccio che trainava sulla strada ghiaiata. Però s’udiva il canto del contadino nei campi, o quello della lavandaia inginocchiata sulla sponda del canale e quello del ciabattino con il suo banchetto in strada a tirar lo spago. Oppure i cori a sera dei giovani che «facevano la vasca»lungo l’unica strada mal illuminata o quello della gente in cerchio sull’aia a spannocchiar granturco.

Immaginare tutto questo è un po’ difficile … anche perché ora non sappiamo più cantare.

2. 1 personaggi

Il Concerto da ballo di Barco, si va formando verso il 1892 e il suo tramonto coincide con l’inizio. dell’ultima guerra mondiale. 1 suoi primi elementi si accostano alla musica con il M’ Saccani di Montecchio. Sono tutti di Barco e si mettono insieme anche se la loro cultura musicale ha molti limiti, ma ognuno di loro continua con tenacia puntigliosa ad applicarsi per migliorarsi ed affinare la propria tecnica. Le prove si succedono ininterrottamente una dopo l’altra fino a a creare un complesso la cui notorietà si allarga ogni giorno di più. Il suo repertorio è formato unicamente da composizioni dei propri elementi. Palmiro Melioli è un capo concerto dal carisma spiccato. Ha nel portamento e nel tratto qualcosa di raffinato che lo eleva sugli altri.

E’ un poeta. Suona divinamente la tromba e nelle sue composizioni evidenzia più di ogni altro la provenienza di quella musica dal filone lirico. S’accompagna con la chitarra nel comporre l’armonia e i suoi pezzi aleggiano sempre di qualcosa di ricercato. Ama i classici e ama immergersi nella loro musica. La sua melodia è fine e classicheggiante e proprio per questo è meno immediata meno popolare di quella del suo braccio destro Cesare Panciroli. Tra Palmiro e Cesare sembra intercorrere lo stesso rapporto che esiste tra Wagner e Verdi. Il primo ha il gusto di una bellezza fine, ricercata e raffina. Nel secondo c’è il gusto della spontaneità, il gusto della bellezza immediata e popolare.

Tra le composizioni di Palmiro Melioli, «Alba» e «Pioggia di baci» emergono per la loro linearità, per la delicatezza delle loro frasi musicali. Da esse, scaturisce l’immagine di un armonioso mosaico. Il Valzer «Rocco» è forse la sua pagina musicale più bella. Vestito del piú gustoso classico, libera la sua melodia con la tromba e col trombone che si alternano poi in stupende variazioni, quasi come sfogo di una contenuta frenesia. Il contrappunto è affidato ai clarini, il controcanto ai baritonali e il tutto appare come un fraseggio armonioso e preciso, quasi arabesco di un manto regale.

Cesare Panciroli (Ceser Codùr) vuol fare il trombettiere. Quattro lezioni di Palmiro e una tromba che si porta con sè lo fanno entrare nella banda militare. Per la sua bella calligrafia viene messo a ricopiare musica. Questo lavoro lo porta a contatto con l’armonia che fa sua e che poi applicherà alle sue composizioni; lo farà sempre in modo molto semplice e leggero. Non è dato di sapere se questa sua attrazione alla semplicità sia data dal suo carattere o ne sia costretto dalla conoscenza piuttosto superficiale che ha di questa materia. Noi di permettiamo di propendere per la prima ipotesi. Il suo buon gusto e la sua fantasia sono tali che le sue composizioni sono caratterizzate da una immediatezza, da un spontaneità che le rendono estremamente popolari. Cesare ha un carattere mite e burlone, ha una comunicativa spontanea. Ha sulle labbra un sorriso appena accennato pronto ad allargarsi ad ogni occasione. L capace di una dolcezza disarmante.

Studia duro, migliora la sua tecnica ed eleva il suo grado di cultura musicale. Ma Ceser è sempre e solo sè stesso, compagno della sua fantasia e della sua esperienza. La sua melodia si libra nello spazio, ribelle e fantasiosa, guidata solo dalla sua anima.

Il controcanto e l’accompagnamento nelle sue composizioni sono semplici e leggeri quasi nel desiderio di non voler disturbare o condizionarne il canto. «Nice» è una sua mazurca dove la dolcezza è espressa come solo lui sapeva fare e,dove tutti gli strumenti sembrano fondersi in un gradevole insieme.

«Fiume» è forse il suo pezzo tecnicamente migliore, ed è un esempio di maturità e di buon gusto eccezionali. La sua melodia, nell’ampio respiro di un Valzer sale nell’aria come un sottile disegno dai contorni morbidi ad aspettare che le variazioni e il controcanto la raggiungano come in un fantastico sogno celeste.

«La lupa» è una Polca che se non può vantare in tecnica il primato delle sue composizioni, resta forse la più amorosamente ricordata sia per il ritmo, sia per la sua spregiudicatezza, sia per alcuni fatti a cui rimane legata. E’ un po’ come la regina buona o come la principessa dolce. Nacque negli anni ruggenti del concerto, quando ogni complesso musicale sceglieva un suo cavallo di battaglia tra alcuni pezzi di bravura usciti in quel tempo, come: «La spinite», «La Mazurca di Migliavacca», «La scabrosa», «L’usignolo», etc. Cesare compone «La Lupa». Quel nome stride un po’ con l’immagine che abbiamo del suo autore, ci sembra un po’ aggressivo, quasi cattivo. Ma noi pensiamo che quel nome, pur storcendo il naso, l’abbia voluto di proposito, proprio perché dovrà lottare con pezzi che sono già famosi e anche il nome doveva essere qualcosa che si imponeva. Un po’ come il pugile che sale sul ring e i-nostra gli occhi cattivi all’avversario per impressionarlo. Questa immagine di Cesare che si sforza per apparire un duro, ci fa tanta tenerezza. Ma Cesare è sempre sé stesso. E la «Lupa», anche nella carica del suo ritmo, pur nella vertigine delle sue magnifiche variazioni, non è mai aggressiva e mantiene intatta la sua vena melodica e il suo carattere popolare.

Luigi Mattioli (Gigin) è un altro dei compositori dei concerto. Suona mirabilmente il quartino al quale impone una dinamica particolare.

«Ernanuela», «Miraggio» e «Brunello» sono sue composizioni; in esse il brio resta la costante dominante.

Gli altri componenti del concerto, sempre della prima generazione, furono Giovanni Musatti col quartino, Dando Panciroli al basso; Donnino Fabbi, Giovanni Gilioli, Saturno Mattioli e Arturo Arduini erano gli accompagnamenti con i loro Genis.

Al Bombardino, Pirola Sartori. Al Trombone, Armano Caleri. Ai clarini Cerioli e Carlino. Al Contrabbasso Placido Gilioli e Cavecchi.

3. Le burle

La vita, entro il concerto, era un po’ quella di una comunità in cui, il carisma di un capo come Melioli ne garantiva il perfetto funzionamento. Il comune desiderio di fare sempre meglio li nutriva in un attaccamento solidale e responsabile. Ma c’era anche un’altra attrattiva forse più immediata che il concerto creava, ed era quell’aria burlesca, quel senso di buon umore, quella continua propensione a fare e ad accettare gli scherzi che in esso si viveva.

In fondo, questo rispecchiava molto del carattere di Barco, un paese un tantino ribelle, pronto alla contestazione verso tutto quello che poteva essere ritenuto imposizione, sopruso. Ma sempre pronto alla burla e alla canzonatura di tutto ciò che succedeva al suo interno. Un paese che sapeva ridere e sorridere di sè stesso e dei propri guai. Barco e il suo Concerto erano tutt’uno e ciò fece nascere la frase: «A Barco sono tutti suonatori … e gli altri musicisti»; era proprio questo sistema di vita che li integrava uno nell’altro. Le prove venivano fatte al Venerdì sera e quasi sempre in una sala dell’osteria della Linda. D’estate la gente si riversava nel cortile o si sedeva ai margini della strada, portando con sè sgabelli o panche ed ascoltava. D’inverno si riempivano le sale dell’osteria e non era raro il caso che qualcuno non trovando posto all’interno, si fermasse ad ascoltare intabarrato fuori all’addiaccio.

Naturalmente la gente ascoltava ogni discussione, ogni piccolo litigio che poteva sorgere tra gli elementi per qualche errore di esecuzione o per divergenze nell’interpretazione, così come si rendeva partecipe di ogni burla, ogni scherzo o battuta. Il concerto aveva un suo fascino e la partecipazione del paese era un po’ come un rito. Le composizioni di allora erano un po’ più complesse che le semplici canzoni di 32 battute che vennero dopo, eppure non era raro il caso in cui il mattino seguente qualcuno, fuori dal concerto, se ne andasse fischiando un pezzo nuovo provato la sera prima. Ci si ricorda molto bene di Paterlein che cantava ogni melodia che avevano in

repertorio. Ferante Codur invece sapeva magistralmente fischiarle. Sardignoli riusciva ad eseguire con monosillabi ogni variazione o contrappunto. Forniti d’orecchio o di «campana» eccezionali, cantavano o fischiavano da mattina a sera con una precisione impressionanti. S’erano formati dei critici precisi ed esigenti che potevano sostenere discussioni a buon livello e le loro tesi, pur non conoscendo la musica, erano spesse volte le più giuste.

Questo legame tra paese e concerto non escludeva nemmeno il Parroco, Don Possidio Rasori, nonostante gli elementi, cosi come un po’ tutto il paese, fossero di fede socialista. C’era inoltre il fatto che il Parroco era molto rigido in quanto a moralità dei costumi e condannava il ballo. Allora tra le due fedi non c’era dialogo. Eppure Don Rasori stravedeva per il Concerto e per la sua musica, ma il più delle volte doveva nascondere questa sua passione. Quelli del Concerto poi, quando capitava l’occasione, non risparmiavano certo il Parroco dai loro tiri mancini, anche se sapevano che prima o poi lui gliela avrebbe fatta pagare. Un anno a Pasqua, il Concerto aveva suonato alla messa di mezzogiorno. Al termine, quando Don Rasori rivolto ai fedeli che riempivano la Chiesa, stava per impartire la Benedizione, i suoi componenti, per uno scherzo combinato da Ceser, attaccarono la «Lupa». La gente si fermò disorientata. Don Rasori che era rimasto a braccia aperte, spalancò gli occhi davanti a quel tentativo di dissacrazione, borbottò qualcosa poi lacrime di commozione gli riempirono gli occhi e lasciò fare. La gente tentò un applauso. In quel periodo la miseria era veramente nera e per descriverla Gigin Mattioli soleva dire che il figlio di Giovanon Puf Puf, aspettava ogni mattina affamato che la madre gli allungasse la scodella di latte con dentro il pane o la polenta arrostita. la prendeva con le mani e andava all’attacco. Quand’era a metà si fermava all’improvviso e si metteva a piangere disperato … perché diceva che quando mangiava si accorgeva che la scodella si vuotava.

Il concerto vide la prima guerra mondiale e quei tempi confusi del dopoguerra che prepararono la strada al ventennio fascista. 1 suoi elementi partivano da casa con Cancol e la sua corriera trainata da due cavalli, più tardi con un vecchio camionciono ansimante, con i fari a carburo che Cavecchi aveva carrozzato con tavole di legno. Restavano giornate e notti intere lontani da casa, esposti e indifesi. Spesso nella balera arrivava un esagitato che voleva che suonassero «Giovinezza». Poco dopo ne arrivava un altro che voleva «Bandiera rossa». Furono spesso costretti a disperdersi tra i campi con gli strumenti in spalla per ritrovarsi solo all’alba in posti che avevano prefissati, annusando aria malsana.

Non furono poche le occasioni in cui mostrarono il loro spirito ribelle ai soprusi del nuovo regime. Per loro la musica era solo musica e non aveva colore. Continuarono a portare in tutti i paesi quelle loro splendide melodie e nemmeno il regime poteva impedire che in quelle note ci fosse anche un po’ del loro spirito libero e ribelle. Il buonumore, nonostante tutto, non si era spento nel concerto, nè le burle s’erano diradate. Giovanon Puff Puff era il bersaglio più facile degli scherzi degli altri. Non era una cima. Era servizievole e lo usavano un po’ da tuttofare. Quando suonava s’impegnava al massimo cercando sempre di non distrarsi o dimenticare qualcosa, tanto che qualche volta fu ripreso proprio per questa sua voglia di strafare che lo aveva portato nella esecuzione a leggere note che in effetti esistevano solo sul suo leggio. Infatti quella nota in più altro non era che un regalino che una mosca impertinente aveva lasciato sulla sua partitura. Egli era sì bersaglio facile, ma arrivava sempre il momento in cui riusciva a combinarne una che lo ripagava con gli interessi e i suoi bersagli erano quasi sempre proprio i due capi concerto: Palmiro e Ceser.

4. Epilogo

La seconda generazione del concerto vide ancora personaggi di spicco che fecero parlare di sè e assursero a livelli molto elevati. Erano quasi tutti allievi di Palmiro. Quest’ultimo dopo poco aver lasciato la scuola s’era messo ad insegnare. Insegnava musica e trasmetteva come per miracolo lo stile inconfondibile del concerto.

Entrarono così, man mano che qualcuno lasciava: Snaièe e Ferruccio d’la Pia col clarino. Entrò Gino Panciroli col trombone. La sua voce dava la sensazione del velluto. Quando suonava la gente smetteva di ballare per ascoltare quella splendida voce che ti entrava dentro morbida e calda, quasi che Gino col suo trombone sapesse parlare.

Entrò Rocco Melioli col clarino. Aveva come il padre Palmiro il gusto del fine e del classico. Morì ancora giovane, ma fece in tempo a lasciarci un po’ della sua musica in composizioni molto belle. Elio Panciroli alla tromba sostituì Palmiro deceduto. Era già stato da ragazzo nel concerto, ma poi la scuola lo aveva portato verso la lirica al conservatorio. Solista eccezionale in formazioni di prestigio fu accanto a Mascagni e al M°. Abbado nei migliori teatri. Finita la stagione tornava alla sua Barco e al suo concerto. Ha scritto musica sacra e musica sinfonica. Ha scritto per concerto e per Banda. Ha musicato commedie. E’ tutt’ora vivente e ad 82 anni dirige concerti con l’entusiasmo di un ragazzo. Ogni sua composizione ha il supporto di una eccellente tecnica e di una profonda cultura musicale.

Della seconda generazione fu Tienno Pattacini col quartino; egli, dopo un certo periodo, passò ad un’altra formazione musicale. Prima degli anni quaranta formò la sua orchestra con la quale affrontò la musica leggera che s’imponeva, affermandosi in campo nazionale. Valente direttore ed eccellente compositore, incise per varie case discografiche e la sua carriera raggiunse vette eccelse. Tra le tante sue composizioni, vogliamo ricordare «Battagliero» che è il suo pezzo più popolare e che ancora resiste al tempo.

A Tienno va riconosciuto il merito di aver portato ancora avanti qualcosa di quella vecchia musica del concerto e di aver mantenuta la fama che aveva conquistato Barco.

A Tienno Pattacini è legato il battesimo della «Lupa». Quando Cesare l’aveva portata alle prove, aveva distribuito la musica e il concerto aveva incominciato a suonarla. Prima della metà qualcuno si era fermato. Piú avanti si fermò qualcun altro finchè Palmiro fece segno di smettere. Qualcuno brontolò con Cesare chiedendo che razza di musica fosse e che insomma non era poi un gran pezzo. Cesare sulle prime non si rese conto e non riuscì a spiegarsi del fatto, poi senza scomporsi, calmo e per nulla offeso, raccattò la sua musica e se la mise via.

Nessuno più ne riparlò. Qualche mese dopo Tienno era andato con i «Cantoni», una banda della bassa parmense che faceva concorrenza a quella dei «barcaroli». Il Concerto ebbe un giorno occasione di passare da un paese dove quel complesso suonava. Si fermarono per ascoltarli. Tiennio li vide arrivare e siccome s’era fatto dare da Cesare la musica, fece attaccare la «Lupa». I Barcaroli si guardarono l’un l’altro stupiti e meravigliati di quel motivo e di quella musica. Quando il pezzo terminò Tienno li salutò con la mano e ammiccò a Cesare, che sbottò rivolto ai suoi colleghi: «Razza di somari … quella è la musica che non avete voluto suonare». La verità è che la «Lupa» presenta notevoli difficoltà sulle quali qualcuno non ce l’aveva fatta e aveva preferito dire ch’era un «Pasticcio».

Il tramonto del concerto di Barco coincide con l’inizio della II guerra mondiale. La sua ultima apparizione avviene, quando ormai si stava sciogliendo, in occasione di un triste evento. Infatti nel 1941, la sua musica avvolge per l’ultima volta le strade di Barco ed accompagna il corteo funebre di uno dei suoi migliori interpreti: quel Cesare Panciroli che due giorni prima era perito in tragico incidente insieme al figlio.

Questa sua musica non fu solo fenomeno sociale e culturale, ma fu fenomeno nel senso più spettacolare della parola. Ad essa si interessarono critici e cultori.

Ma cosa c’era in quella musica paesana che era riuscita a incuriosire e a scomodare quotidiani del calibro del «Corriere della Sera». Cos’era quella sorta di magia, quell’incanto, quel feeling che quella musica creava con chi l’ascoltava. Di tutto quello che abbiamo sentito c’è una frase che ci è rimasta impressa: «C’è musica suonata con la testa, con la tecnica. La musica di Barco è suonata col cuore».

Ci era sembrato un luogo comune, come una frase fatta e non riuscivamo a capire. Allora ci spiegarono con un esempio: «Se tu prendi un pezzo della musica di Barco e la fai suonare a solisti validi, tela suoneranno perfettamente e l’ascolto sarà gradevole. Se la stessa musica te la suona il concerto, probabilmente lo farà con meno precisione, ma l’ascolto avrà un gusto, un sapore diverso: il sapore dell’anima». Forse quella magia era tutta qui. L’avvento della Radio e il suo propagarsi porterà con sè un modo nuovo di fare musica. Si affacciano alla ribalta formazioni musicali più «leggere»., con nuovi strumenti. Le stesse composizioni che già dalla Lirica si erano alleggerite nelle operette prima e poi nei Valzer Viennesi, si trasformeranno ancora con le canzonette. Le case editrici musicali renderanno più facile il reperimento degli spartiti dei successi che lancia la Radio.

Termina l’era del concerto, l’epoca gloriosa dei nostri «grandi vecchi» che ci avevano regalato quel filone musicale irripetibile.

Nessuno di quei pezzi era mai stato depositato alla Siae dai loro autori. Lo farà qualcun altro a concerto disciolto ma i nomi degli autori non appariranno. Qualcuno dirà che: «quando canta il danaro, la musica tace».

C’è ancora qualcuno che guarda a questa musica, come al momento di passaggio tra passato e futuro, tra musica classica e musica leggera e cerca di intravvedere nelle melodie di questi nostri Grandi Vecchi dalla cultura contadina impregnata di buon senso e di buon gusto, il tentativo di rendere più accessibile, più immediata e più popolare la vecchia musica d’ascolto, portandola ad accompagnare i balli della nostra gente.

Aldo Fabbi, L’almanacco socialista, 10, 1987



CHI ERA LEARCO GIANFERRARI?

9 ottobre 2009

A sette anni sotto la guida del padre Adelmo(falegname di professione ma anche fisarmonicista e contrabbassista per vocazione e passione) iniza lo studio della musica con Elio Panciroli di Barco e Renato Benelli di San Polo. A nove anni sotto il maestro Mario Goi, che ha avuto come allievi anche Iller Pattacini e Wolmer Beltrami, comincia con profitto lo studio della fisarmonica. “Andavo a lezione a Reggio accompagnato in bicicletta sempre da mia madre Luce”. Learco è stato un precoce virtuoso della fisarmonica. Già a undici anni partecipa ai primi concorsi per giovani fisarmonicisti ed a quello nazionale di S. Andrea Bagni si classifica al quarto posto assoluto. L’anno successivo guadagna il 2° premio nello stesso Concorso. Si afferma poi in altri concorsi musicali, sempre di fisarmonica: è vincitore all’ Internazionale di Stradellla per ben tre anni di seguito ed al Campionato italiano a Varese sale sul primo gradino del podio dei vincitori. Partecipa con successo, sempre a Varese al Campionato Europeo valido per i mondiali che si terranno a Essen (Germania) nel 1953. “Vi fu una selezione molto impegnativa- ricorda Learco- bisognava eseguire pezzi obbligati, scelti da una severa giuria, per la precisione dei preludi di J. S. Bach. Nonostante la mia giovane età-ero ancora un ragazzo, avevo 14 anni-affrontai con calma e determinazione quella prova e mi classificai quarto assoluto.” Conseguita in seguito, come privatista, a licenza di scuola media, Gianferrari si iscrive al Corso di tromba presso il Liceo musicale Achille Peri, di Reggio Emilia, sotto la guida del Maestro Bigi. Mentre frequenta gli studi di tromba partecipa a diversi spettacoli: era giustamente considerato un giovane prodigio della fisa. E a quell’epoca la Rai trasmette il suo primo disco con pezzi del repertorio classico: la Danza delle spade, il Volo del calabrone, Hora staccata, ed altri, sempre eseguiti con la fisarmonica. Per alcuni mesi si esibisce come concertista anche nell’avanspettacolo della Compagnia Savino’s di Bologna.
A sedici anni entra con la fisarmonica e la tromba nell’organico dell’ Orchestra Cetra, diretta dal padre Adelmo. Aumenta sempre più la sua notorietà tra il pubblico dei giovani e così nel 1956 con la solelcitazione ed il consenso unanime dei colleghi musicisti, la Cetra si trasforma nella Orchestra spettacolo Learco Gianferrari. “Fu un periodo molto intenso della mia vita: di giorno studiavo la tromba, suonavo quasi tutte le sere con l’orchestra e nei ritagli di tempo scrivevo già le mie prime composizioni per la fisarmonica.” L’intenso programma di lavoro dell’ orchestra costringe però Learco ad abbandonare a malincuore il Corso di tromba quando frequenta già il quarto anno al Peri. Studio però che riprende con caparbietà a 35 anni, sollecitato sempre dal padre e sorretto dalla moglie, la signora Anna, sposata nel 1964, madre delle sue due figlie Valeria e Silvia.
“Per due anni non siamo mai usciti di casa per andare al cinema”. Così Gianferrari come “uditore” sotto la guida del prof. Sandro Faccini (trombone al Peri) e della prima tromba della Sc ala di Milano, prof. Luciano Cadoppi, riesce a completare la sua preparazione e nel settembre del 1977 come privatista si diploma a pieni voti in tromba presso il Conservatorio Musicale di Brescia.
“Superato l’esame di diploma letteralmente scappai da Brescia per raggiungere Montecatini Terme dove era in programma una serata con la nostra Orchestra. Dopo il diploma ho seguito negli anni ’78 e ’79 alcuni corsi di perfezionamento col prof. Mineo di Sorbolo (Parma) e col Prof. Titani di Paicenza, prima tromba Rai di Roma. Ricordo che un mio maestro diceva sempre che la tromba “è il più infedele degli strumenti musicali” infatti l’esperienza mi ha insegnato che è necessario anzi indispensabile studiare quotidianamente ed esercitarsi sempre: questo vale per tutti i musicisti professionisti, suonatori di tromba compresi.”
(…) Già a quindici anni compone alcuni pezzi musicali in collaborazione del compianto paroliere e poeta dialettale di Barco, il comune amico Aldo Fabbi, Brasil. Da allora non ha mai smesso di comporre musica leggera per fisarmonica, tromba, sassofono, clarinetto ecc. che incide nella sua modernissima sala di registrazione di Cavriago (tanti musicisti utilizzano l’impianto di Larco per registrare le loro composizioni, buon ultimo in ordine di tempo Mario barigazzi, il noto fisarmonicista Barimar).

Sue composizioni di successo: Zingarella, Vicino a te, Giovane Amore, Tango bullo, La balera.
Per il complesso Casadei ha composto il Valzer per fisarmonica, Tocco di classe.

Nel 1989 fondò la cooperativa Vera Musica.

di Giuseppe (Pino) Ferrari

Tratto da RIVISTA 23 MARZO, Cavriago nella politica, nella cultura e nella storia, n 64, 29 aprile 1996, Profili di aziende, Un’azienda di musicisti a Cavriago, La cooperativa “Vera musica”,